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Dis-Fashion: quanto ci costa realmente la moda?

  • Immagine del redattore: Giulia Alice
    Giulia Alice
  • 23 dic 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 24 gen 2022





La moda è arte, la moda è glamour, la moda è blablabla, quante definizioni le abbiamo dato?


Eppure, come dice il detto, non è tutto oro quel che luccica, c'è sempre un ma grande come una casa dietro le quinte.


L'industria della moda è considerata infatti una delle più inquinanti al mondo, ma questa informazione ci dice tutto e niente.


Dobbiamo andare più in dettaglio, oltre le solite frasette sconclusionate sentite mille volte alla tv per comprendere a fondo la situazione in cui ci troviamo e che dovremmo cambiare al più presto.






The true cost

Per esempio, quanto costa produrre una maglietta di cotone?

Servono ben 2700 litri di acqua per una semplice t-shirt che, in aggiunta, contiene un quarto dell'uso mondiale di insetticidi e più del 10% di pesticidi chimici.


In Mongolia il 90% del territorio è a rischio desertificazione a causa dell'aumento di domanda del cashmere, la cui coltivazione si basa su praterie naturali.


I tessuti artificiali (viscosa) si ottengono mescolando materie prime di origine naturale (alberi, piante, frutti, altri materiali di origine vegetale) e sostanze chimiche.


Per la produzione di fibre sintetiche (poliestere, nylon, acrilico, elastan) sono utilizzati materiali chimici derivanti del petrolio, e le emissioni che vengono rilasciate nell'aria sono trecento dieci volte più dannose dell'anidride carbonica, creando danni all’intero ecosistema.


Infatti, essendo prodotte chimicamente, rilasciano enormi quantità di micro-plastiche durante ogni lavaggio che finiscono nei corsi d'acqua e nella nostra catena alimentare.


Si attesta che un quinto di tutto l'inquinamento idrico è causato dalla lavorazione tessile e vengono utilizzati circa ottomila prodotti chimici sintetici per trasformare le materie prime in tessuti finiti.


Si prevede, inoltre, che le emissioni dell'industria della moda aumenteranno di oltre 60% nei prossimi dodici anni.


L'inquinamento e l'uso spropositato di acqua non è che l'inizio di un circolo vizioso che provocherà anche perdita di biodiversità sia ambientale che animale (causando desertificazione e perdita di habitat per le specie), la diminuzione delle risorse, l'aumento del consumo e il conseguente spreco di prodotti.


La maggioranza dei rifiuti dell'abbigliamento finisce in discarica o viene incenerita, ma solo il 20% viene riciclato.


Un europeo ora compra il 60% in più di capi di abbigliamento e li tiene per

circa la metà rispetto a quindici anni fa.


I marchi sono passati dalla produzione tradizionale di due collezioni principali all'anno a ben sei, alcuni brand online e di fast fashion forniscono addirittura nuovi prodotti ogni settimana.


Il basso costo incentiva a comprare sempre di più, rendendo i capi convenienti ma ignorando l'assenza di qualità del prodotto, che finirà per fare la muffa negli armadi o verrà buttato via, causando di nuovo inquinamento.



Modern Day Slavery

L'ingiustizia sociale non risparmia neanche la moda che è altrettanto responsabile dello sfruttamento e delle violazioni dei diritti umani verso i suoi lavoratori.


Lavoro forzato, traffico di persone, sfruttamento di manodopera minorile, violenze e minacce, ingiustizie basate su etnia, genere, età e religione, senza nemmeno essere pagati degnamente.


Nel 2013 in Bangladesh, è esploso l'edificio-fabbrica Rana Plaza, agglomerato di laboratori tessili con più di 3.000 lavoratori, pagati meno di 30 euro al mese per cucire vestiti 12 ore al giorno.


Più del 50% dei lavoratori (soprattutto donne) non riceve uno stipendio minimo, in Pakistan sono più dell'87%.






Siamo davvero disposti a tutta questa cecità pur di indossare l'ultimo trend che ha pubblicizzato quella tan-dei-tali di influencer su instagram?


È così necessario produrre e comprare l’ennesima nuova borsa (che finirà a fare la polvere insieme alle altre nell’armadio) di nome-brand fatta di pelle di animale, nel 2022, in piena crisi climatica e pandemica?








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